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Decimo dono: la preghiera del dire sacrificale disponente
al fare.
Dal visuato Paterno la spiegazione dell’abbandono gridato
in terra. Il peccato è malattia dell’amore. Non si asporta
dall’uomo l’amore, non va sulla croce per essere eliminato.
Lo si può solo sciogliere. La croce non espia e non
soddisfa, ma solo metamorfosa lo spirito Figliale. Non lo
abbandona nel tempo dopo le due compiacenze. Vi si
specchia e vi si ammira. È minore il Figlio.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova.
Tocca la preghiera del dire egoisticale, ed ecco uscir fuori
la preghiera del fare sacrificale. Quello che mi do al piacerale,
quello che mi danno i miei fratelli sacrificatori,
quello che mi dà il corpo mio. Al suo sacrificale fisico
Gesù si accosta con triplicata preghiera del dire sacrificale.
Vi domanda l’allontanamento di ‘questo calice’. Quale
calice? (Esclusi tre)
1) Non è il calice del sacrificale fisico: vi anela senza
paura né tentativo di fuga.
2) Non è il calice ecclesiale di amarezza morale: il Padre recide;
piange la vite; ma non teme e non fugge, ma vi anela.
3) Non il calice ecclesiale di amarezza sostanziale: non è
più un taglio, ma è la morte dell’amore Paterno che trascina
nel tempo l’amore Figliale.
Il Padre ecclesiato uccide il Figlio ecclesiato. Non teme,
non fugge, ma vi anela, con una speranza grande di seguire
il Padre che va all’eterna morte dell’amore. La separazione
eternale dal Padre gli sarebbe calice amarissimo e ne
domanda l’allontanamento. ‘Voglio essere con te nell’eterna
morte dell’amore!
Se vuoi fammi questo dono!’. Il Figlio ne ha risposta
negativa. L’assenza di una spiegazione strappa al Figlio
agonizzante un altissimo grido per dire al mondo il suo
abbandono: ‘Perché mi hai abbandonato?’.
La Chiesa Figliale ci ha fornito una spiegazione attinta da
Paolo. L’umanità incapace a espiare e a soddisfare. Se non
l’ha il Figlio, che spiegazione possiamo dare? (La prima
ce la siamo data noi; e non tiene più. La seconda lo
Pneuma, e terrà fino alla fine) Il Figlio si fa mandare.
Raccoglie su di sé la massa enorme dei peccati e nella sua
morte li distrugge con la sua espiazione che dà piena soddisfazione:
soddisfazione vicaria.
Il Padre che ha in odio il peccato, riprova quel suo Figlio
e te lo pianta inchiodato alla sua maledizione. Al Figlio
non resta che gridare l’abbandono Paterno. Una spiegazione
che poggiava su un’idea puramente umana di peccato:
colpa e offesa. Ora il visuato Paterno ci fornisce la conoscenza
veramente divina del peccato. Peccato è malattia
dell’amore sacrificale Paterno che aggravandosi e maturando
porta l’amore Paterno alla morte eterna.
1) L’amore Paterno ammalato non si può separare dalla
persona; vi si è unito (col suo sacrificale diventa mio e
me lo blocca al mio) con una concezione battesimale
cresimata incosciente; non si può asportare, come si può
fare con un bubbone canceroso; non si può portare sulla
croce; non si può distruggere con la morte di croce.
2) La morte dell’amore può essere unicamente sciolta
nella persona e dalla persona Agentata. (Sciogliere il
blocco egoisticale)
3) Non si può espiare: non è una colpa; non si può soddisfare;
è il Padre che ama piccolare per salvare morendo.
Sulla croce non ci va dunque alcun peccato. Gesù va alla
croce né per espiare né per soddisfare, ma unicamente per
conseguire con quel sacrificale la sua metamorfosi
Figliale nel suo spirito. Per darsi qualità nuove che lo rendono
irradiabile ed ecclesiabile prima moralmente e poi
sostanzialmente. Il Padre non lo abbandona nel tempo:
a) Ha palesato dal cielo la sua compiacenza quando il
segno battesimale del Giordano ha pubblicato concezione
Paterna in persona di Figlio volto al sacrificale.
b) Ha espresso dal monte la sua compiacenza per un
Figlio che anticipa in visione per i suoi la metamorfosi
Figliale.
c) Come fa a fuggire e ad abbandonare il Figlio nell’atto
in cui Gesù fa il Figlio nel modo più perfetto e
completo?
Il Padre si specchia amorosamente nel Figlio: vi vede e vi
ammira il suo amore sacrificale Paterno, vissuto dal Figlio in
pienezza. Vi vede e vi ammira la sua metamorfosi Paterna
che il Figlio consegue nel suo Spirito.
Vi vede e vi ammira la sua irradiabilità ed ecclesiabilità.
Nella croce del Figlio vede e ammira la sua Paterna. Ma
eccone ben visibile l’enorme differenza: la Paterna è altissima,
è larghissima, è profondissima, è immensa, è nel tempo
e si prolunga nell’eterno.
È quel prolungamento eternale che fa spasimare il Figlio e
gli fa gridare l’abbandono Paterno. Il Figlio non può andare
col Padre nell’eterna morte dell’amore. ‘Il Padre è più grande
di me nell’amore, nel silenzio, nella devozione a sé’. Un
abbandono eternale gridato a voce di corpo; un altro l’ha gridato
a spirito. Quale?

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