Introduzione

Nei colori della nostra iride specchiata possiamo
intravedere le varie tonalità dei colori della vita, che a
mo’ dell’arcobaleno, dopo ogni tempesta, annunciano e
additano la via della speranza, della pace, e soprattutto,
della certezza. Sì, perché i nostri colori non sono illusione
nel cielo, ma anzitutto stanno dentro di noi, nelle nostre
pupille e in ogni nostro sguardo, che attraverso questa
visione rinnovante del cammino a procedere, ci permette
di dare la giusta tonalità alle cose, anche là dove lo sconvolgimento
del tempestoso caos umano e mondano sembra
voler scombussolare e porre fine alla nostra serenità.
Nell’antichità pagana, Iride era l’annunciatrice, la
messaggera degli dei, dei loro colori.
Così, anche a partire da questa nostra visione non solo
intravista, ma soprattutto vista ‘dentro’ di noi, ognuno di
noi diventa messaggero e annunciatore dell’arcobaleno
che appare a dare le tonalità del vivere quotidiano.
La forma dell’arco non solo ci richiama la solennità e
la mistica e misteriosa bellezza di questa realtà, ma ci
indirizza alla tensione quotidiana verso la Verità, a non
adagiarci nel già noto e nel già dato, ma a riprendere
sempre il cammino, se vogliamo dare una giusta tonalità
e coloritura alla vita nostra, altrui e dell’universo.
L’arcobaleno è grande, perché solca il cielo; ma è anche
piccolo, perché si racchiude nella nostra iride corporea.
E l’accecamento dei lampi e dei baleni non ci lascia
mai delusi e amareggiati, perché sappiamo che ogni volta,
dopo ogni lampo e tuono, la violenza e la potenza non
possono far altro che tirarsi indietro, e là dove noi vogliamo,
in questo scrutare il cielo della Verità, lasciar apparire
i mille e mille colori di un sorprendente e rasserenante
‘arcobaleno’..


272

Decimo dono: la preghiera da egoisticale a sacrificale.
La prova che in Gesù non c’è paura né fuga davanti al
sacrificale: da quello che dice, da quello che è. Da quello
che sono io. Io sono egoisticità che mi fa capace solo di
amarmi e di odiare, di prendere e di eliminare. Quando
vengo impedito io sono capace solo di paura e di fuga. Lui
capace solo di sacrificale, io solo di egoisticale. Lui liberamente,
io forzatamente.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova.
Tocca la preghiera del dire egoisticale, ed ecco uscir fuori
la preghiera del fare sacrificale.
Alla preghiera del fare sacrificale ci si dispone con la preghiera
del dire sacrificale. L’unica che Gesù ha voluto
farci conoscere: quella della sua agonia nell’Orto degli
Ulivi. Peccato che noi vi abbiamo visto un assalto di paura
e un tentativo di fuga.
1) Ma da quello che dice ai suoi: la paura non entra nella
sua preghiera;
2) Da quello che Lui è: abbiamo ricavato la certezza assoluta
che Gesù non riesce a sentire la paura del suo sacrificale
e non riesce a desiderare la fuga.
Cos’è?
È amore sacrificale Paterno in persona di Figlio vivibile in
carne umana. L’amore Paterno è tutto e solo sacrificale, e
come tale si cede integralmente in persona di Figlio.
Nell’amore Paterno non c’è un solo filamento di egoisticità,
per cui al Figlio giunge purissimo l’amore sacrificale. E
non è che la sacrificalità Paterna nel Figlio abbia subìto un
qualche inquinamento egoisticale. (Anche noi non ci riusciamo
a sentire e desiderare il contrario dell’egoisticale)
1) Non l’avrebbe sicuramente chiamato ‘mio Figlio diletto’.
2) Satana tenta di inoculare in quella granitica sacrificalità
il liquido della egoisticità e non vi riesce minimamente:
il suo ago diabolico viene spuntato e spezzato.
3) Sappiamo quale trattamento riserva a Pietro quando gli
vuole impedire il suo cammino al sacrificale. ‘Lungi da
me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché la pensi come
gli uomini, non come Dio!’. Dio: Padre e Figlio, pensa,
desidera, vuole e pratica solamente il sacrificale.
Diremo allora che il Padre e il Figlio suo sono dei sadici,
dal momento che vanno pazzi per il sacrificale? Noi
lo possiamo essere, e lo siamo quando dalla violenza su
di noi o sugli altri ne abbiamo piacere sensuale, come
probabilmente quella donna della setta nervina dei fratelli
bianchi che si sta preparando a lasciarsi inchiodare
sulla croce come annuncio della fine del mondo che
dovrebbe cadere in una data precisa. Niente sadismo
nel Figlio Gesù. In Lui il sacrificale ha un’unica funzione:
quella metamorfosale: la trasformazione in
meglio del suo spirito per potersi irradiare nella umanità,
e poter ecclesiare e avere l’accesso al sacrificale
Pneumatico. Per quello che è non riesce a sentire paura
davanti al sacrificale suo e non riesce a desiderare la
fuga da esso. La medesima cosa avviene in noi, ma con
un amore contrario al suo. Io sono un amore egoisticale.
Sono un amore egoisticale e questa è la nostra parità.
L’amore egoisticale è Satana: per questo ci supera e
dispone di tutti noi. Il mio egoisticale vuole infallibilmente,
non sbaglia mai; velocissimamente: lo aziona la
mia istintività; prontamente: non fa ragionamenti;
esclusivamente: con l’esclusione di qualsiasi altra cosa.
Che cosa?
Una presa totale di quello che mi piace, e una eliminazione
totale di quello e di chi non mi piace. Io riesco solamente
ad amarmi e a odiare; escludo il sacrificale.
Quest’unica mia capacità viene esercitata da un meccanismo
ferreo, sempre pronto a produrre i suoi triplici scatti:
a ogni tocco il mio sentire, a ogni sentire il mio agire, a
ogni agire il mio acconsentire. Proprio per questo il mio
egoisticale ammette solo paura e fuga dal sacrificale. Non
ammette il sacrificale metamorfosale: quello che mi trasforma
in bene e in meglio.
Devo riconoscere che una mamma conosce un suo grande
sacrificale; lo conosce pure l’operaio che suda per la sua
famiglia, come lo conosce l’imprenditore per la sua impresa,
specie quando parte da zero.
Ma tutta questa sacrificalità nasce e si sviluppa al servizio
della egoisticità. L’egoisticità ha una sua sacrificalità solo
per il presente, mai per il futuro.
In meglio qui, non lassù. Adesso da quel che siamo noi
riusciamo a capire quello che è Lui: Gesù. Io con amore
egoisticale pieno di paura e di fuga dalla sacrificalità;
Gesù è solo amore sacrificale: in Lui non c’è il minimo
spazio per la paura e per la fuga.

273

Decimo dono: la preghiera da egoisticale a sacrificale.
Cosa è quel calice che non contiene il suo sacrificale fisico?
Oltre al fisico c’è un sacrificale Pneumatico. Il Padre
non gli passa le sue 5 qualità metamorfosali. È il Figlio
che le consegue con il suo sacrificale fisico. Si fa irradiabile
e quindi ecclesiabile. Ecclesiazione prima morale che
ottiene per 2000 anni e del cui calice beve la feccia.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale: quello che mi do al piacerale, quello che mi
danno i sacrificatori, quello che mi dà il corpo mio. Al
sacrificale che ha ottenuto dai suoi sacrificatori Gesù si
dispone con una preghiera, che ha consegnato alla nostra
conoscenza: la preghiera del dire sacrificale. L’ha detta
nell’agonia dell’Orto. Peccato che noi l’abbiamo egoisticizzata,
scorgendovi un assalto di paura e un tentativo di
fuga. Ma quello che dice ai suoi, quello che è Lui e quello
che io sono, ci hanno mostrato l’assoluto contrario:
Gesù non ha paura, e non tenta la fuga davanti al suo sacrificale
che non è solamente fisico, ma morale, messianico
e divino. Il calice dunque che gli sta dinnanzi non è il
sacrificale fisico. ‘Se vuoi allontana da me questo calice’.
Cos’è quel calice che gli sta davanti e dal quale domanda
la liberazione? Ci può essere in Gesù un sacrificale diverso
da quello fisico? Se c’è, non può essere che spirituale e
conseguente a quello fisico. Sacrificale spirituale è quello
che si compie nel suo spirito e viene dopo il sacrificale
fisico al quale è talmente congiunto da derivare da esso.
Vediamolo: Gesù col suo sacrificale fisico vissuto con
devoto silenzioso amore sacrificale consegue la sua metamorfosi
Figliale. Viene a fare il Figlio. Lo fa con l’amore
sacrificale Paterno in forma personale di Figlio. Col suo
sacrificale fisico va in metamorfosi. La sua metamorfosi si
compie nel suo spirito. La chiamo pertanto Pneumatica. Il
suo spirito non si trasforma in bene, perché in Lui non c’è
un male da trasformare in bene, come in noi; si trasforma
in meglio: trasformazione in meglio di un bene liberamente
sacrificato. E qual è il meglio che prima non aveva? Il
Padre si dà da vivere al sacrificale in forma personale di
Figlio. Però non gli passa le qualità che Lui stesso ha conseguito
nella sua metamorfosi, facendosi: espropriabile,
cedibile, concepibile, vivibile e moribile. Il Figlio viene
per conseguirle e lo fa solo mediante il suo sacrificale fisico.
La metamorfosi viene solamente dal sacrificale: non
dimentichiamolo noi, che vi siamo chiamati come cristiani.
È proprio dal suo sacrificale fisico che si sprigionano
le cinque qualità nuove del suo Spirito: espropriabile,
cedibile, concepibile, vivibile e moribile. Per dirle tutte
insieme ecco un termine unico: il suo Spirito si fa irradiabile.
E poiché la sua irradiazione raggiunge una moltitudine
e se la unisce per farla partecipe del suo destino di felicità
somma, dobbiamo esprimerla così: ecclesiabile: può
fare Chiesa. Per salvarci deve ecclesiarci, non ci salva
separatamente ma ecclesialmente. È una mostruosità dire:
Gesù sì, ma la Chiesa no; il Vangelo sì, ma il prete no. Dire
questo vuol dire ignoranza totale di Gesù, possibile a una
scelta egoisticale, non a una scelta sacrificale. E quale
ecclesiabilità consegue il Figlio? (Anela a una ecclesiazione
sostanziale, ma prima:) Può realizzare una ecclesiazione
morale che si distenderà per uno spazio temporale di
2000 anni: da Cristo a oggi. In carne umana è anelante,
impaziente e scalpitante per conseguire la sua ecclesiabilità
morale. Per 2000 anni anelante, impaziente e scalpitante
per realizzare la sua seconda ecclesiabilità: quella
sostanziale. La prima dovremmo conoscerla noi pure, perché
ci siamo fatti Chiesa Figliale accogliendo i mezzi
occorrenti per fare col Figlio unità morale. Da questa sua
Chiesa ha avuto un calice amaro assai e ai giorni nostri sta
bevendo la feccia che è la più densa e amara.

274

Decimo dono: la preghiera da egoisticale a sacrificale del
dire che dispone al fare.
Il calice del sacrificale Pneumatico. Col fisico si fa ecclesiabile.
Alla sua prima Chiesa dà una unità solo morale: la parola
creduta che mi invita e che mi comanda. La Chiesa gli ha
dato sacrificale Pneumatico: scismi, eresie, odio, lotte religiose.
Non mettiamo alla berlina il suo sacrificale. Ora alla feccia.
Non i giovani, ma i maturi. Ora anela a uno nuovo.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del dire
egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare sacrificale:
quello che mi do, quello che mi danno i sacrificatori,
quello che mi dà il corpo mio. Nell’atto di avviarsi al suo
sacrificale fisico, Gesù scioglie una triplice preghiera del
dire sacrificale. Quella vicinanza ci ha ingannato e noi l’abbiamo
intesa come un assalto di paura e un tentativo di fuga.
Ma il calice di cui fa parola in essa non è il suo sacrificale
fisico. Ci siamo mossi subito alla identificazione di quel cali-
ce. Cos’è quel calice di amarezza? Dal sacrificale fisico
siamo passati a quello spirituale. Infatti col fisico Gesù consegue
la sua metamorfosi di spirito: pneumatica, per la quale
il suo spirito si riveste di qualità nuove: espropriabile, cedibile,
concepibile, vivibile e moribile. Irradiabile e dunque
ecclesiabile. Ha fatto Chiesa e continua a farla.
Come l’ha fatta? Per 2000 anni la può fare solo moralmente
dandole una unità puramente morale. I mezzi per unirci a
Lui e tra di noi sono conosciuti da tutti.
1) Primo mezzo: la sua parola annunziata: parola veritata:
per questo la Chiesa ha sempre vigilato attentamente
sulle verità della parola annunciata.
2) Secondo mezzo: la sua verità creduta mediante il dono
della fede, facile ad accogliere là dove la persona si
sente piccola.
3) Terzo mezzo: i suoi comandi proibitivi che danno completamento
a quelli contenuti nel Decalogo.
4) Quarto mezzo: i suoi comandi positivi: amare Dio e il
prossimo: indicazione precisa di tutto quello che il
discepolo è chiamato a fare. Ne diamo una chiara sintesi:
‘Se qualcuno mi vuol seguire, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua’.
L’unità morale della sua Chiesa si costruisce con 4 ‘idem’:
conoscere, credere, velle, nolle. Che gli ha dato da bere
questa sua Chiesa? Un incessante, vasto, immenso, profondo
sacrificale pneumatico.
1) Eresie e scismi hanno fatto a brandelli l’unità della sua
Chiesa.
2) Odi e lotte di religione hanno avvelenato tutto il tessuto
della sua Chiesa.
3) Peccati di ogni genere hanno seminato morte nel corpo
e nelle membra di quella sua Chiesa.
Un calice amarissimo che Gesù ha bevuto con devoto
silenzioso amore sacrificale. Siamo stolti e insipienti noi
cristiani quando analizzando i mali della Chiesa cristiana
li mettiamo alla berlina e alla gogna e ne proviamo un
gusto satanico, contenti di scoprire la Chiesa con le mani
nel sacco, come se le nostre fossero candide e innocenti.
Ora siamo tutti con le mani nel sacco, ed è ora che abbiamo
a riconoscerlo sinceramente. Gesù da venti secoli sta
bevendo al calice della amarezza ecclesiale ed ora sta arrivando
alla feccia. E la feccia di quel calice siamo noi che
viviamo in questo secolo. In questa feccia non ci sono le
nuove generazioni: quelle formano il calice che da secoli
il Padre beve da tutta l’umanità; ci siamo noi cristiani di
età matura.
1) Noi che riusciamo a non credere più a Gesù.
2) Noi che rigettiamo la sua Parola.
3) Noi che non rinunciamo a volere ciò che non dovremmo
fare.
4) E riusciamo a scartare quello che ci comanda di fare.
Noi siamo una Chiesa che si sta sfideando e si sta smoralizzando.
Senza ripugnanza, senza ribellione, ma con
devoto silenzioso amore sacrificale Gesù si sta bevendo la
feccia del calice ecclesiale.
È assurdo solo il pensare che Gesù nella sua preghiera
abbia domandato al Padre l’allontanamento di un calice
sacrificale pneumatico che supera infinitamente quello
fisico. Il fisico ha la durata di due giorni, lo pneumatico di
20 secoli. Mentre beveva quello fisico anelava a quello
pneumatico morale.
Ora che ne sta bevendo la feccia, anela al calice pneumatico
sostanziale: anela alla morte dell’amore: sostanza
Figliale pronta a fare una Chiesa rinnovata.

275

Decimo dono: la preghiera del dire sacrificale disponente
al fare.
La feccia del calice ecclesiale: è data dal Padre che quale
vignaiolo della Chiesa Figliale pota, per una maggior
fruttificazione, e taglia i rami infruttuosi. Quando, con chi
lo fa, non lo sappiamo: sicuramente non di là, ma di qua,
come la potatura la fa di qua.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale: quello che mi do al piacerale, quello che mi
danno i fratelli sacrificatori, quello che mi dà il corpo mio.
Al suo sacrificale fisico Gesù si accosta con una triplicata
preghiera; è un dire sacrificale.
Pure piegato alla volontà del Padre, domanda l’allontanamento
di un calice ben preciso: ‘questo calice’. Ci fu spontaneo
metterlo in relazione al suo sacrificale fisico e vedervi
un assalto di paura e un tentativo di fuga. Dimostrato che
in quel calice non c’è il suo imminente sacrificale fisico, ci
siamo rivolti al sacrificale spirituale, pneumatico, reso possibile
dal primo, che opera nel suo Spirito la metamorfosi
Figliale, che lo fa irradiabile ed ecclesiabile. La prima
ecclesiazione è morale: se la unisce l’umanità moralmente
e se la unisce con la parola annunciata e creduta, coi suoi
comandi proibitivi e positivi osservati.
Questa Chiesa dall’unità morale gli dà da bere un calice
amaro assai: eresie e scismi, lotte religiose e odi, peccati di
ogni genere formano il suo calice che beve con devoto
silenzioso amore sacrificale.
Né paura né fuga neppure quando arriva alla feccia come ai
giorni nostri nei quali la sua Chiesa che è in noi si sta sfideando
e smoralizzando.
Non abbiamo ancora detto tutto su quel calice di amarezza
ecclesiale morale. Gesù i suoi discepoli se li unisce moralmente
con la parola creduta e i comandi eseguiti. Questa
unità morale tra Lui e il discepolo, Gesù la illustra con una
bella immagine. È l’immagine della vite. Le componenti: la
vite, i suoi tralci, la loro fruttificazione, la loro inazione, la
potatura dei rami fruttiferi e il taglio inesorabile dei rami
infruttuosi. Il tutto Gesù lo personalizza così: ‘Io sono la
vite vera, voi i tralci. Il Padre mio è il vignaiolo’. Come mai
Gesù introduce il Padre come vignaiolo nella vigna del
Figlio? E non sarebbe capace il Figlio di trattenersi i tralci
fruttuosi e di eliminare quelli inattivi? Solo il Padre può fare
questo. Come mai? Donde viene la infruttuosità del discepolo?
Viene dal Padre; o meglio: dal Padre ecclesiato. Il
Padre per la sua metamorfosi si fa irradiabile ed ecclesiabile:
fa Chiesa con l’umanità intera e la fa in un modo sostanziale,
non solo morale, e la fa senza parola e senza fede, la
fa senza il consenso di alcuno. La faceva con un battesimo
cresimato Paterno incosciente. La Chiesa Figliale Gesù la fa
solo coscientemente e consensualmente e solo moralmente.
La Figliale viene a trovarsi nella Paterna.
La Figliale è condizionata dalla Paterna. Se la Figliale non
riesce a sciogliere la morte dell’amore della Paterna, questa
si afferma sulla Figliale; frutti sacrificali non se ne hanno, i
frutti egoisticali prendono il comando. Frutto egoisticale è
la morte dell’amore Paterno; è il Padre dunque che ha in
mano la forbice della vite. Con chi la usa non si sa.
Sicuramente l’operazione avviene di qua: mano alla forbice,
lame aperte sul tralcio che vi viene immesso, poi le due
lame si chiudono su di lui: è la sua resezione. Separato dalla
vite cade in terra, dissecca e va al fuoco. ‘Ogni tralcio che
in me non porta frutto lo toglie’. ‘Se qualcuno non rimane
in me sarà gettato via come il tralcio e si disseccherà; poi
viene raccolto ed è buttato nel fuoco e brucia’. Ecco il contenuto
della feccia del calice ecclesiale: un suo discepolo
che giace in Gesù se lo vede e se lo sente reciso da quel
Padre che accetta di vivere con lui l’eterna morte dell’amore.
Perdere un tralcio e vederlo andare al fuoco eterno dell’amore
è il calice di amarezza ecclesiale morale che il
Figlio beve senza paura e senza alcun tentativo di fuga.

276

Decimo dono: la preghiera del dire sacrificale disponente
al fare.
L’unità morale della Chiesa Figliale volge al tramonto. In
aurora appare una nuova unità sostanziale. Il visuato
Paterno mi fa visualizzato il Figlio. Si porta a livello
Paterno con una concezione battesimale cosciente. Ora
può essere col Padre anche in morte eterna. Gli scoppia
la gola sacrificale eternale. Eterna separazione: calice
amarissimo che domanda sia allontanato.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del dire
egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare sacrificale.
Il sacrificale che mi do al piacerale, che mi danno i fratelli
sacrificatori, che mi dà il corpo mio. Gesù al suo sacrificale
fisico si accosta con la triplicata preghiera del dire sacrificale.
In essa domanda l’allontanamento di un calice.
Quale calice? Non certo il calice del sacrificale fisico: né lo
teme né lo fugge. Quale calice? Col suo sacrificale fisico
consegue una metamorfosi di spirito che lo rende irradiabile
e ecclesiabile. Alla sua prima Chiesa dà una unità puramente
morale mediante la parola, la fede, i comandi positivi
e negativi. Unità che si va sfilacciando. È dei giorni nostri
lo sfideamento, la smoralizzazione. Prima il calice ecclesiale
di amarezza morale.
Ora la feccia che accoglie dal Padre con devoto silenzioso
amore sacrificale. È proprio il Padre che gli porge da bere
una feccia amarissima. In che modo? Gesù ecclesiato è la
vite vera, noi i tralci, il Padre suo il vignaiolo. La Chiesa
Figliale infatti giace nella Paterna. La Figliale dovrebbe
dare frutti sacrificali, la Paterna egoisticali. Quando questi
ultimi hanno il sopravvento, il Padre recide quel tralcio; dissecca
e va al fuoco eterno.
Quel taglio fa scoppiare nel Figlio un grido di supplica:
lascia venire anche me insieme con te e col tralcio mio!
(L’unità morale è scindibile) La risposta Paterna pone il
Figlio in devota accettazione. (Desolata: si sente abbandonato)
(Calice: la negazione del sacrificale eternale col
Padre) Non teme, non fugge. È a questo punto che si va profilando
la natura vera di quel calice che domanda sia allontanato.
Ora tutto è pronto per la sua identificazione: la
Chiesa dalla unità morale volge al tramonto, e già compare
in aurora la Chiesa dalla unità sostanziale.
Come mi ha fatto arrivare? Illuminato da luce Pneumatica
mi sono trovato specchiato: mi sono fatto visuato, letturato
e alla fine gridato: ‘Di disgrazia sono pieno’.
La mia disgrazia è: il battesimo cresimato Paterno incosciente
che Satana mi ha infernalizzato, in malattia collocato
e alla morte avviato. Questo visuato Paterno mi fa visua-
lizzato il Figlio disposto a unirsi a Lui non più moralmente,
ma sostanzialmente. A me spalancato si cede espropriato,
dal suo Agente mi si fa concepire, da vivere mi si è dato
pronto a subire la morte dell’amore del Padre suo.
Così negli anni della mia maturità il Figlio mi si è piazzato
a livello del Padre: battesimo cresimato Figliale a livello del
battesimo cresimato Paterno. Ora il tralcio inserito nella vite
con una concezione battesimale potrà ancora essere resecato?
Sembra di no! Se dunque il Padre andrà con la sua creatura
all’eterna morte dell’amore, anche il Figlio potrà andare
e il Padre non glielo potrà negare. Come mai nel Figlio
una simile tensione a non lasciare il Padre da solo nella eterna
morte dell’amore? Il Figlio è comunione trinitaria: fa
Trinità col Padre e con lo Pneuma.
Una comunione non accidentale che possa rompersi e
lasciare indifferenti, ma una comunione sostanziale. La
metamorfosi Paterna scinde la Trinità in Padre Agentato e
Figlio Agentato. A quella scissione il Figlio va in tensione
fortissima: venire in carne umana per ricomporre mediante
la sua Chiesa l’unità col Padre e con lo Pneuma. Punta a salvare
il Padre nell’uomo per ricongiungersi a Lui, ma se non
gli è possibile il Figlio anela a fare unione con Lui nella
morte eterna dell’amore. Vorrà il Padre risparmiare al Figlio
il calice amarissimo della eterna separazione? Ecco cosa è
scoppiato nel Figlio in preghiera del dire sacrificale: gli è
scoppiata la gola sacrificale, gola di unione nella stessa
morte eternale; che Figlio meraviglioso è questo Gesù di
Nazareth! Quell’eccesso di gola sacrificale rientra e si spegne
nell’atto in cui il Padre pone il Figlio nei suoi limiti:
questo è il calice ecclesiale di amarezza sostanziale che il
Figlio è chiamato a bere: non può passare senza che Lui lo
beva. Correzione, quindi, da fare: tre passi avanti.

277

Decimo dono: la preghiera del dire sacrificale disponente
al fare.
Il calice amaro della separazione eternale non può essere
rimozionale. In croce Gesù ne domanda il perché del suo
abbandono. Paolo ne ha dato una spiegazione. Per espiare
e soddisfare il Padre si carica di tutti i peccati, e ne ha
abbandono dal Padre che odia i peccati e il Figlio che ne
è carico.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Quello che mi do al piacerale, quello che mi
danno i miei fratelli sacrificatori, quello che mi dà il corpo
mio. Al suo sacrificale fisico Gesù si accosta con una triplice
preghiera del dire sacrificale. Vi domanda l’allontanamento
di un calice:
1) Non è il calice del sacrificale fisico: non lo teme, non
lo fugge, anzi vi anela.
2) Non è il calice ecclesiale di amarezza morale che il
Figlio riceve dal Padre: vignaiolo sempre pronto a recidere
da una vite che è Gesù ecclesiato i tralci che non
danno frutti sacrificali.
3) Non è neppure il calice ecclesiale di amarezza sostanziale
che il Figlio ecclesiato subisce dal Padre ecclesiato.
La Chiesa Figliale fideata si sta sfilacciando. Una nuova
Chiesa Figliale visualizzata si sta muovendo sull’orizzonte
della storia umana. È il Figlio che si unisce sostanzialmente
il suo discepolo con un battesimo cresimato Figliale
cosciente. Allora vi sono due possibilità: o il Figlio riesce
a sciogliere la morte dell’amore Paterno, ovvero Lui si
lascia uccidere dal Padre ecclesiato. Calice di amarezza
sostanziale: subisce la morte dell’amore; non teme e non
fugge, vi anela. Anche perché con quella morte dell’amore
spera di poter seguire il Padre nella morte eterna dell’amore.
Aut: o Trinità paradisiaca ecclesiale, aut: o
Trinità infernale ecclesiata. Il sacrificale fisico, quello
ecclesiale, accolti con purissimo amore, gli fanno scoppiare
la gola sacrificale. Non vorrebbe il calice della separazione
eternale dal Padre suo; è pronto a berlo secondo la
volontà del Padre. Domanda una morte eternale col Padre,
ma non la ottiene.
Sembra che la negazione Paterna non abbia recato con sé
la spiegazione. Diciamo sembra: perché il Figlio stesso ne
fa richiesta al Padre, nel momento finale del suo terribile
sacrificale fisico. Scrive Marco che Gesù verso l’ora nona:
le tre pomeridiane, mandò un grido: ‘Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?’.
Quel grido domanda la spiegazione. Anche la nostra
Chiesa cristiana si è data alla ricerca della spiegazione di
quell’abbandono. Eccone la spiegazione ecclesiale: il
Padre è indignatissimo per i peccati dell’umanità, non c’è
nessuno che possa espiarli generosamente e dare a Lui
piena soddisfazione. Quello che l’umanità intera non può
fare, uno solo lo può realizzare. Il Figlio che sollecita dal
Padre la missione in carne umana: ‘Manda me’. E il Figlio
venuto in carne umana, raduna tutti i peccati dell’umanità,
quel carico umanamente insopportabile se lo tira addosso,
se lo porta nel suo corpo, e mediante la sua fissazione alla
croce che lo uccide, trascina alla morte tutto quel carico
infernale. A questa operazione del Figlio si è dato un
nome: soddisfazione vicaria.
Il Figlio cioè sostituisce l’umanità espiando generosamente
il suo peccato e dà piena soddisfazione al Padre implacabile
nella sua indignazione.
Ma il Padre odia il peccato, e non può affiancarsi amorevolmente
e pietosamente a un Figlio, che si è come immedesimato
col peccato di tutta l’umanità; e cosa fa? Avrebbe
almeno dovuto farsi davanti al Figlio, nell’atto di accogliere
con gradimento quella soddisfazione piena e non
negargli la sua amicizia, recuperata e ricomposta. Niente
di tutto questo. Il Padre se ne va, lo pianta in asso; meglio:
sulle assa, e lascia il Figlio in preda a una desolazione smisurata,
senza alcuna misura sopportabile.
Da chi abbiamo ereditato una simile spiegazione?
L’abbiamo raccolta dall’apostolo Paolo, che la espone
nelle sue lettere alle prime comunità cristiane. Di meglio
non poteva dare, dal momento che lo Pneuma non aveva
ancora parlato su quell’abbandono.
Il peccato fideato ci ha fornito una spiegazione.
La vera spiegazione l’ha pronta il peccato visuato: quello
che lo Pneuma è pronto a farci vedere.